Ricorso  della  Regione  Emilia Romagna in persona del Presidente
  della  Giunta  regionale  pro-tempore Vasco Errani, autorizzato con
  deliberazione  della  Giunta regionale n. 2392 del 19 dicembre 2000
  (all.  1),  rappresentata  e difesa - come da procura speciale rep.
  33404 rogata dal notaio dott. Michele Zerbini del Collegio notarile
  di  Bologna  del  22  dicembre  2000  (all.  2)  -  dagli  avvocati
  Giandomenico  Falcon  di  Padova, Franco Mastragostino di Bologna e
  Luigi  Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio
  dell'avv. Manzi, via Confalonieri n. 5.
    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
  dichiarazione  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma
  4,  lett. a), della legge 24 novembre 2000 n. 340, pubblicata nella
  Gazzetta  Ufficiale,  serie  generale, n. 275 del 24 novembre 2000,
  recante  "Disposizioni  per  la  delegificazione  di norme e per la
  semplificazione  del  procedimento  amministrativo"  in quanto, nel
  sostituire  il  comma  2  dell'art.  20  della legge 15 marzo 1997,
  n. 59, dispone che "nelle materie di cui all'art. 117, primo comma,
  della   Costituzione,  i  regolamenti  di  delegificazione  trovano
  applicazione", sia pure "solo fino a quando la regione non provveda
  a  disciplinare  autonomamente la materia medesima", per violazione
  degli artt. 117, primo comma e 118, primo comma, della Costituzione
  e  dei  princi'pi  costituzionali relativi all'esercizio del potere
  regolarmentare.

                           Fatto e diritto

    La  legge  n. 59  del  1997  prevede che una legge annuale, detta
  correntemente   "legge   di  semplificazione",  sia  dedicata  alla
  "delegificazione di norme concernenti procedimenti amministrativi".
  In  sostanza,  tale  legge  individua i procedimenti per i quali la
  disciplina    legislativa    sara'    sostituita    da   disciplina
  regolamentare,  posta  in  essere  dal  Governo "ai sensi e per gli
  effetti dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400".
    Il   meccanismo   di  tale  sostituzione  e'  dunque  quello  del
  regolamento  delegato.  Ed  infatti il comma 4 dello stesso art. 20
  della  legge n. 59/1997 precisa che dalla data di entrata in vigore
  dei  regolamenti autorizzati dalla legge annuale di semplificazione
  "sono   abrogate   le   norme,  anche  di  legge,  regolatrici  dei
  procedimenti".
    Il  comma  5 precisa i "criteri e princi'pi" cui i regolamenti di
  delegificazione  dovranno  attenersi.  Ovviamente, non si tratta di
  principi  di  materia, ma di principi per cosi' dire metodologici e
  trasversali,  quali  il  principio di semplificazione, di riduzione
  dei termini, di accelerazione delle procedure, ecc.
    Su  tali  principi non occorre qui ulteriormente soffermarsi, non
  essendo essi in questione.
    Il problema qui posto riguarda invece la competenza, o piuttosto,
  come  si  dira',  la  incompetenza  dei  regolamenti delegati cosi'
  previsti a disciplinare procedimenti nelle materie rientranti nella
  competenza  costituzionalmente  garantita  alle regioni, cioe' (con
  riferimento  qui  alle  regioni  a statuto ordinario) nelle materie
  previste dall'art. 117, primo comma della Costituzione.
    Su tale tema il disposto dell'art. 20 non era chiaro. Il comma 2,
  nel  suo  testo  originario,  stabiliva che nel disegno di legge di
  semplificazione  il  Governo  avrebbe  provveduto ad individuare "i
  procedimenti  relativi  a  funzioni  e  servizi  che,  per  le loro
  caratteristiche   e   per   la   loro   pertinenza  allo  comunita'
  territoriali, sono attribuiti alla potesta' normativa delle regioni
  e  degli  enti  locali",  e  ad  indicare  "i princi'pi che restano
  regolati  con  legge della Repubblica, ai sensi degli articoli 117,
  primo e secondo comma, e 128 della Costituzione".
    Come  si  vede,  tale  articolo  non  era concepito in termini di
  stretta  garanzia costituzionale nelle materie di cui all'art. 117,
  primo  comma,  ma  prevedeva  una piu' ampia devoluzione di compiti
  normativi  alle  regioni  e  agli  enti locali, al di la' di quanto
  costituzionalmente dovuto alle regioni ordinarie.
    Alle  regioni ordinarie era invece - ed e' ancora - espressamente
  dedicato  il  comma  7  dell'art. 20,  nel quale si stabiliva (come
  ancora e' stabilito) che esse "regolano le materie disciplinate dai
  commi  da  1  a  6  nel  rispetto  dei  princi'pi  desumibili dalle
  disposizioni   in   essi  contenute,  che  costituiscono  princi'pi
  generali  dell'ordinamento".  Di  seguito  si  stabiliva  che "tali
  disposizioni operano direttamente nei riguardi delle regioni fino a
  quando  esse  non  avranno  legiferato  in materia", e che conunque
  "entro  un  anno  dalla  data  di  entrata in vigore della presente
  legge"   esse   avrebbero  provveduto  "ad  adeguare  i  rispettivi
  ordinamenti   alle   norme   fondamentali   contenute  nella  legge
  medesima".
    Nell'insieme  di tali disposizioni dell'art. 20 della legge n. 59
  del 1997, poste piu' che altro nella prospettiva dell'operativita',
  il  riparto  di  competenza  tra  la disciplina regolamentare dello
  Stato  e  quella  tendenzialmente  legislativa delle Regioni quanto
  alla  semplificazione dei procedimenti non era descritto in termini
  chiari:  tanto che esse furono impugnate da parte regionale davanti
  a codesta ecc.ma Corte costituzionale. Se dai primi sette comuni di
  tale  articolo  -  argomentava  la  ricorrente  Regione Puglia - si
  volesse  desumere  che  i  regolamenti  statali  di delegificazione
  possano  "intervenire  in materia di competenza regionale, operando
  fino  alla nuova disciplina regionale", tali disposizioni sarebbero
  risultate  costituzionalmente  illegittime  per il contrasto con il
  principio,  affermato nella giurisprudenza costituzionale, "secondo
  cui  i  regolamenti governativi non sono legittimati a disciplinare
  materie   di   competenza   regionale,   e   lo   strumento   della
  delegificazione  non  puo' operare per fonti di diversa natura, tra
  le quali vi e' un rapporto di competenza e non di gerarchia" (cosi'
  la  sentenza  n. 408  del  1998,  punto  9  in  fatto e punto 27 in
  diritto).
    I  timori  cosi' espressi dalla regione ricorrente erano tuttavia
  fugati  da  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale,  la  quale, nel
  respingere la questione, cosi' espressamente argomentava: "Fermo il
  valore  di  principio,  legittimamente vincolante per i legislatori
  regionali,  dei  criteri  indicati nell'art. 20, comma 4, quale che
  sia il senso attribuibile all'affermazione - invero non perspicua -
  per  cui  "tali  disposizioni" (quelle contenute nei commi da 1 a 6
  del  medesimo  art. 20)  "operano  direttamente  nei riguardi delle
  regioni  fino a quando esse non avranno legiferato in materia", non
  e'  possibile  attribuire  ad  essa  un  significato che riguardi o
  comprenda  l'attitudine  di  future  norme  regolomentari statali a
  disciplinare materie di competenza regionale".
    Invero,  le  disposizioni  impugnate  venivano mandate assolte in
  quanto da esse non poteva dedursi che i regolamenti statali fossero
  deputati  a  disciplinare  materie  regionali. Percio' la questione
  posta  dalla  Regione  Puglia  veniva  ritenuta infondata: essa non
  aveva  ragione  di porsi, perche' il significato delle disposizioni
  di legge non era quello prospettato.
    Della  richiamata  pronuncia  della Corte costituzionale conviene
  sin  d'ora  richiamare  un  aspetta  che ad avviso della ricorrente
  regione  ha  grande  importanza,  consistente  nella  premessa  del
  ragionamento, espressa con le parole "Fermo il valore di principio,
  legittimamente  vincolante per i legislatori regionali, dei criteri
  indicati nell'art. 20, comma 4".
    Con  tali  parole la Corte ha espressamente sancito che, come del
  resto e' chiaro nel testo dell'art. 20, anche le regioni sono da un
  lato  tenute  e dall'altro abilitate a dare attuazione ai princi'pi
  di  semplificazione  espressi dal comma 5, integrando e sostituendo
  con  essi,  in  relazione  ai procedimenti, i principi fondamentali
  della legislazione statale relativi ad ogni specifica materia.
    In  altre  parole, la sentenza della Corte, nell'escludere che la
  legislazione  statale  in vigore preveda l'ingresso dei regolamenti
  delegati  nella  disciplina  delle materie regionali, indica che le
  regioni   hanno   in  proprio,  nelle  materie  di  competenza,  la
  responsabilita'  di  riordinare  la  propria normazione agli stessi
  princi'pi  cui  lo  Stato  da'  attuazione,  nei settori di propria
  competenza, mediante tali regolamenti.
    I  timori  allora  espressi dalla Regione Puglia, nel senso che i
  regolamenti  statali  di delegificazione potessero secondo la legge
  n. 59  "intervenire  in  materia  di competenza regionale, operando
  fino  alla  nuova  disciplina regionale", e respinti come inattuali
  dalla  Corte  costituzionale  con  la ricordata sentenza n. 408 del
  1998  sono ora diventati innegabilmente attuali, dal momento che la
  disposizione  qui  impugnata  della legge 24 novembre 2000, n. 340,
  sostituendo  il  comma 2 dell'art. 20 della legge n. 59 del 1997, e
  riprendendo  quasi alla lettera la formulazione con cui quel timore
  era  espresso  dispone,  come  ricordato  in  epigrafe,  che "nelle
  materie  di  cui  all'art  117,  primo comma, della Costituzione, i
  regolamenti  di  delegificazione  trovano  applicazione solo fino a
  quando  la  regione  non  provveda  a disciplinare autonomamente la
  materia medesima".
    Al  di  la'  della apposizione della parola "solo", evidentemente
  destinata ad accentuare un presunto aspetto di limitazione (come se
  si  potesse  ritenere  pensabile  anche  una applicazione stabile e
  definitiva  di  tali  regolamenti), il significato inequivoco della
  disposizione e' proprio quello di estendere il potere regolamentare
  del   Governo   alla   disciplina   dei   procedimenti   regionali.
  Parafrasando la conclusione della sentenza n. 408 in relazione alla
  situazione  creata  dalla  disposizione ora introdotta si puo' dire
  che  non  e'  possibile  attribuire  ad essa un significato che non
  riguardi  o  comprenda  l'attitudine  di future norme regolamentari
  statali a disciplinare materie di competenza regionale".
    Quel  vulnus  alla  competenza  regionale, escluso dalla sentenza
  n. 408,  e'  dunque ora indubbiamente e decisamente recato. Bisogna
  ora   dunque   soffermarsi   in  termini  piu'  approfonditi  sulla
  illegittimita' costituzionale di esso.
    In  primo  luogo,  occorre ricostruire con maggiore precisione il
  significato  della  disposizione  e  la  logica che essa segue, per
  mostrare  poi  che essa non e' conforme alla Costituzione ed altera
  gravemente, sia in teoria che in termini di conseguenze pratiche, i
  rapporti  tra  le  fonti,  non meno gravemente comprimendo il senso
  dell'autonomia e della responsabilita' regionale.
    Come  detto,  la nuova disposizione stabilisce che "nelle materie
  di cui all'art. 117, primo comma, della Costituzione, i regolamenti
  di  delegificazione  trovano  applicazione  ...  fino  a  quando la
  regione  non  provveda  a  disciplinare  autonomamente  la  materia
  medesima".
    Si  ritiene  qui  che  la disposizione vada intesa nel senso che,
  secondo  l'intenzione  di  essa,  la  disciplina  stabilita  con il
  regolamento  di  deligificazione  vale  ad  abrogare,  nelle  parti
  incompatibili  e  potenzialmente  in toto, la previgente disciplina
  legislativa regionale, sostituendosi ad essa nella disciplina della
  materia,  e  rimanendo  in  vigore  fino  a  quando  essa non venga
  eventualmente sostituita da nuova autonoma disciplina regionale.
    Se  di  una  fonte  si distinguono, come d'uso, l'aspetto attivo,
  relativo  alla  capacita'  di  innovare  le  norme  poste  da fonti
  precedenti,   e  l'aspetto  passivo,  relativo  alla  capacita'  di
  resistere  alle  innovazioni  poste  da  fonti  successive, si puo'
  definire  la situazione creata dal nuovo comma 2 dell'art. 20 della
  legge  n  59  del  1997  affermando  che  il regolamento statale di
  delegificazione  prevarrebbe  sulle  precedenti  leggi regionali, e
  sarebbe  invece  (in  linea  puramente teorica) cedevole rispetto a
  norme regionali successive.
    In   astratto,   la   disposizione   statale   qui  impugnata  e'
  suscettibile anche di diversa interpretazione. Essa potrebbe essere
  ad esempio intesa nel senso che i regolamenti statali operano nella
  regione  soltanto  in  quanto  non  sia  attualmente  operante  una
  autonoma disciplina regionale alla materia, sicche' essa sia ancora
  disciplinata  dalla  disciplina  statale  vigente  al  momento  del
  trasferimento   delle   funzioni  o  da  altra  disciplina  statale
  sopravvenuta   in   seguito.   Si   ritiene   tuttavia   che   tale
  interpretazione (che porrebbe comunque ugualmente il problema della
  costituzionalita' di un intervento statale meramente regolamentare)
  non  corrisponda al senso della modifica portata dalla legge n. 340
  del  2000,  la  quale ha introdotto il meccanismo qui contestato al
  fine  palese  di realizzare rapidamente e coattivamente il processo
  di  semplificazione,  mediante  l'introduzione  automatica  di  una
  disciplina   governativa,   lasciando   alle  regioni  la  cura  di
  modificarla se ad esse non andasse bene.
    Piu'  sottilmente, la disposizione qui contestata potrebbe essere
  intesa  nel  senso  che  le  disposizioni  regolamentari statali ai
  sovrappongano,  abrogandola, alla disciplina legislativa regionale,
  soltanto  ove  questa  non  abbia  gia'  provveduto  ad applicare i
  princi'pi  di  semplificazione  previsti  dal  comma 5 dell'art. 20
  della legge n. 59 del 1997. In questa prospettiva, la frase "fino a
  quando  la  regione  non  provveda  a disciplinare autonomamente la
  materia  medesima" andrebbe mentalmente completata con l'inespressa
  precisazione  "in  attuazione dei principi di semplificazione": con
  la  conseguenza  che  il  "provveda"  ai riferirebbe non solo ad un
  provvedere futuro, ma anche ad un provvedere passato, ma successivo
  alla stessa legge n. 59.
    Questa  interpretazione  avrebbe  il  pregio  di  far venire meno
  quella  che  e'  ad  avviso  della  ricorrente regione accanto alla
  illegittimita'  costituzionale,  anche  l'irrazionalita' intrinseca
  della  disposizione  qui  impugnata.  A  tre anni di distanza dalla
  legge  n. 59,  infatti,  le  regioni  e  in  particolare la regione
  ricorrente hanno ovviamente gia' provveduto a ridisciplinare con le
  proprie  leggi  (quasi  sempre, si noti, vistate dal Governo) molte
  materie  di propria competenza: sicche' l'abrogazione di tali leggi
  con  norme  governative  sarebbe  non solo in contraddizione con le
  regole  del  rapporto tra fonti statali e legge regionale, ma anche
  privo di qualunque giustificazione pratica.
    Alla  stregua  di  questa  interpretazione,  in  altre parole, il
  sovrapporsi    della    disciplina   regolamentare   statale   alla
  legislazione  regionale  avrebbe  carattere eventuale e in un certo
  senso  sostitutivo, in quanto la regione non avesse gia' provveduto
  alla  semplificazione:  mentre ragionevolmente lascerebbe in vigore
  la disciplina gia' semplificata dalle regioni.
    Si  noti  tuttavia  che anche tale interpretazione, indubbiamente
  piu'  favorevole  per  le regioni (e per la stessa razionalita' del
  sistema) non farebbe venire meno quella che ad avviso della regione
  ricorrente  e'  una  grave  lesione  di  una  delle piu' importanti
  prerogative  costituzionali  delle  regioni,  quale  quella  che si
  traduce  in  un  rapporto  di solo parziale subordinazione rispetto
  alla  sola  legge  statale  (e  atti  equiparati).  A tale rapporto
  esclusivo  tra  legge  regionale  e  atti  legislativi  statali  fa
  eccezione  soltanto  il  peculiare regime degli atti di indirizzo e
  coordinamento,  nonche' quanto disposto per assicurare l'attuazione
  degli  obblighi  comunitari  dell'Italia: ma si tratta, appunto, di
  eccezioni  alla regola: una regola che risulterebbe distrutta se si
  ammettesse   in   generale   la   possibilita'  di  intervento  del
  regolamento statale in materia regionale.
    In  ogni  modo, nel presente ricorso si assume che il significato
  della  disposizione  qui impugnata sia quello piu' sbrigativo sopra
  illustrato,   cioe'  la  diretta  abrogazione  di  qualunque  norma
  legislativa  regionale,  recente  o  meno, "semplificata" o meno, a
  fronte  del  solo  sopraggiungere  della  disciplina  regolamentare
  statale.   Ove   si   dovesse   invece  ritenere  che  la  corretta
  interpretazione  sia  nel  senso  esposto  immediatamente sopra, le
  censure   qui  prospettate  continueranno  a  valere  in  relazione
  all'ipotesi   di  abrogazione  della  legislazione  regionale  "non
  semplificata".
    Che  i  regolamenti  governativi  non  possano  intervenire nella
  disciplina  delle materie affidate dalla Costituzione alla potesta'
  legislativa concorrente delle regioni deriva dalle regole espresse,
  dai  princi'pi,  dalla  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma.  Corte
  costituzionale.
    Quanto  alle regole espresse, e' anche troppo ovvio ricordare che
  l'art. 117,  primo comma, della Costituzione esplicitamente dispone
  che  nelle  materie  di  seguito  elencate  la  regione emana norme
  legislative  "nei  limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle
  leggi dello Stato".
    La  garanzia  costituzionale  cosi'  data  alle  regioni  include
  naturalmente  anche  la stabilita' della legislazione regionale, la
  quale  puo'  venire  meno  soltanto  per abrogazione disposta dalla
  stesso  legislatore  regionale o per il sopraggiungere di una nuova
  disciplina   legislativa   statale   ispirata  a  nuovi  princi'pi,
  incompatibili con i precedenti.
    La  garanzia  costituzionale  data  alle  regioni si riferisce in
  astratto  alle  fonti,  assicurando  che  solo  la legge e le fonti
  equiparate  potranno operare in materia regionale e in certi limiti
  prevalere sulle leggi della regione, ma include ovviamente anche un
  aspetto   per  cosi'  dire  soggettivo,  nel  senso  che  i  limiti
  all'organo  legislativo regionale possono derivare solo dall'organo
  legislativo  statale,  o  da  atti del Governo di rango legislativo
  emanati   secondo   le  stringenti  regole  costituzionali  che  ne
  disciplinano il rapporto con la legge del Parlamento.
    E' invece escluso che una volonta' normativa espressa dall'organo
  governativo  possa incidere sull'autonomia legislativa regionale. A
  questo  principio  fa  eccezione  il  solo caso dei regolamenti per
  l'attuazione  delle diretive comunitarie previsti dagli artt. 4 e 9
  della legge n. 86 del 1989: ma da un lato tale eccezione (che trova
  critica  almeno parte della dottrina: cfr. G. Guzzetta, Regolamenti
  statali  a  carattere  supplettivo  e  competenze  regionali: dalla
  "decostituzionalizzazione"  alla  "delegificazione"  dell'autonomia
  territoriale in nome del diritto comunitario, in Giur. cost., 1999,
  p. 3746  ss.)  non  puo'  che  essere,  proprio in quanto eccezione
  fondata  su cogenti ragioni di responsabilita' internazionale dello
  Stato,   di  strettissima  interpretazione,  dall'altro  la  stessa
  eccezione  si  rivela,  nel  suo  contenuto,  talmente  limitata da
  risultare  quasi  apparente, e comunque da non consentire certo una
  estensione ai regolamenti di delegificazione.
    Gia'  si  e'  detto  della peculiare responsabilita' statale, che
  costituisce  il  fondamento  del suo potere e dovere di "mettere in
  campo  tutti  gli  strumenti ... idonei ad assicurare l'adempimento
  degli  obblighi  di  natura comunitaria" (sent. 425 del 1999, punto
  5.3.1 in diritto, con riferimento alla precedente n. 126 del 1996).
    Ma  pur  su  tale  fondamento,  la  possibilita'  di incidere con
  regolamento  sulla  legislazione regionale e' davvero ristretta. La
  stessa   sentenza   ha   infatti   sottolineato  che  "l'esecuzione
  comunitaria  non  e'  un  pass-partout  che  consente allo Stato di
  vincolare  le  autonomie regionali e provinciali senza rispettare i
  principi   della   propria   attivita'  normativa",  e  che  "anche
  nell'adozione   della   normativa  di  attuazione  comunitaria,  il
  regolamento  statale  ...  incontra  il  limite  dei  principio  di
  legalita'"  (punto  5.3.2):  sicche',  in  termini  applicativi, la
  disciplina  regolamentare  "e' ammissibile in quanto il regolamento
  non  vincoli  ...  al  di  la'  di  quanto  gia' non discenda dagli
  obblighi comunitari" (punto 5.3.3).
    In  altre  parole,  neppure in assolvimento della responsabilita'
  comunitaria dello Stato il regolamento governativo puo' dettare una
  disciplina  "libera", ma esso funziona al contrario da puro tramite
  di   inserimento   nell'ordinamento  giuridico  italiano  di  norme
  comunitarie   che   altrimenti   non   vi  avrebbero  applicazione,
  introducendo  in  esso  le sole modifiche e adattamenti necessari e
  conseguenti.
    Se  ne  deduce  agevolmente  che  neppure se si adottassero per i
  regolamenti  delegati  i  criteri  di ammissibilita' previsti per i
  regolamenti  di  attuazione  comunitaria  potrebbe giustificarsi la
  disposizione  qui  impugnata  della legge n. 340 del 2000, la quale
  prevede   una   disciplina   procedimentale   e  piu'  in  generale
  "semplificativa"  sostanzialmente  libera,  entro  i  generalissimi
  criteri  metodologici  e  trasversali  previsti  dalla legge 59 del
  1997.
    Ma e' ovvio, ancor prima, che l'eccezione prevista, negli stretti
  termini   sopra   descritti,   per   i  regolamenti  di  attuazione
  comunitaria  non  puo'  applicarsi  affatto al caso dei regolamenti
  delegati   di  delegificazione,  sicche'  la  previsione  del  loro
  intervento  nella disciplina procedimentale nelle materie regionali
  va qualificato come a priori illegittima.
    Al  di  fuori  della necessita' di dare attuazione alla normativa
  comunitaria,  l'inammissibilita'  costituzionale  di una disciplina
  regolamentare  in  materia regionale emerge in modo esplicito anche
  da costante e consolidata giurisprudenza costituzionale.
    Cosi'  la  sent.  n. 482  del  1995,  al  punto 8  in diritto, ha
  ribadito  che "i regolamenti governativi, compresi quelli delegati,
  non sono legittimati a disciplinare materie di competenza regionale
  o  provinciale" e che lo strumento della delegificazione, che opera
  tra  legge  e  regolamento  statale, non puo' operare "per fonti di
  diversa  natura, tra le quali vi e' un rapporto di competenza e non
  di gerarchia".
    Nella  stessa  sentenza  n. 482  del  1995  codesta  ecc.ma Corte
  costituzionale  ha  anche  espressamente  ricordato  che  "solo  la
  diretta  incompatibilita'  delle norme regionali con i sopravvenuti
  princi'pi   e   norme   fondamentali   della   legge  statale  puo'
  determinare,   ai  sensi  dell'art. 10,  primo comma,  della  legge
  10 febbraio 1953, n. 62, l'abrogazione delle prime".
    Ora,  e'  evidente  che la "diretta incompatibilita'" delle norme
  regionali  va valutata sulla base di un esame concreto del rapporto
  tra  le  disposizioni  della  legge  statale  e  quelle di cui alle
  specifiche  leggi  delle  singole  regioni. Solo sulla base di tale
  esame  sara'  possibile  dire  quali  norme regionali risultino, in
  ipotesi, abrogate.
    Si  tratta d'altronde, come detto, di giurisprudenza consolidata:
  tra  le  altre  sentenze,  si possono vedere la n. 333 del 1995, la
  n. 465 del 1991 e, ancor prima, la n. 204 del 1991.
    In  sintesi,  la  situazione  dei rapporti tra Stato e regioni in
  materia di semplificazione puo' dirsi la seguente.
    La  legge  dello  Stato puo' dettare, e con l'art. 20 della legge
  n. 59  ha  dettato,  princi'pi  e  criteri  generali  in materia di
  semplificazione dei procedimenti.
    Per  quelli  di propria competenza, lo Stato vi provvede mediante
  regolamenti di delegificazione.
    Per  quelli  rientranti nella competenza regionale, vi provvedono
  le  regioni  nell'ambito  della  propria  potesta' legislativa e in
  ipotesi,  dopo  la  legge costituzionale n. 1 del 1999, anche della
  propria  potesta'  regolamentare, sulla base di quanto disposto con
  legge  regionale.  In  tali  attivita'  le regioni sono guidate dai
  medesimi  princi'pi  e  criteri che guidano i regolamenti delegati,
  stabiliti dall'art. 20.
    Nella  semplificazione  dei  procedimenti regionali difficilmente
  puo'  vedersi  un interesse nazionale non frazionabile. Ma se lo si
  vedesse,  esso  non  potrebbe  comunque portare una alterazione nei
  rapporti tra legge regionale e regolamento dell'esecutivo.
    In   altre   parole,   l'eventuale   interesse  "nazionale"  alla
  semplificazione  dei  procedimenti  nelle  regioni  deve pur sempre
  trovare  espressione  nelle forme tipiche del rapporto tra la legge
  regionale e le fonti costituzionalmente idonee a vincolarla.
    Potrebbe  trattarsi  del  potere di indirizzo (quale del resto e'
  gia'  stato esercitato con la stessa legge). Secondo la valutazione
  del legislatore, e l'importanza dei valori costituzionali in gioco,
  potrebbe  immaginarsi  persino  un potere sostitutivo, quale quello
  attivato dalla stessa legge n. 59 del 1997, all'art. 4, comma 5, in
  materia  di  attribuzione di funzioni agli enti locali, per il caso
  che  le  regioni  non  vi  provvedessero.  Ma  dovrebbe  pur sempre
  trattarsi  di  uno strumento rispettoso della regola costituzionale
  che  una  nuova  disciplina  di  una  materia  appartenente  in via
  concorrente alla potesta' legislativa regionale puo' essere dettata
  solo  da  una legge statale che stabilisca i princi'pi nuovi, ed in
  relazione  ad  essi,  ove occorra, da una disciplina legislativa di
  dettaglio,  cedevole  di  fronte  al nuovo esercizio della potesta'
  legislativa regionale.
    La potesta' legislativa concorrente delle regioni concorre con la
  potesta' legislativa statale, mai con la potesta' regolamentare del
  Governo.
    Nel  caso, poi, mancano persino i nuovi princi'pi di materia. Non
  sono  tali,  infatti, i princi'pi e criteri di semplificazione, che
  hanno   carattere   metodologico  e  operano  trasversalmente  alle
  materie, esprimendo un indirizzo di riforma, ma non nuovi princi'pi
  di materia.
    All'interno  di tali indirizzi, la disciplina del procedimento in
  ciascuna  materia  e'  libera, e ad essa non puo' provvedere che il
  legislatore regionale.
    In  molti casi esso ha gia' provveduto, anche in attuazione della
  legge  n. 59.  Le disposizioni cosi' poste dalle regioni, sia prima
  che dopo la legge n. 59, non possono essere legittimamente travolte
  da un regolamento governativo.
    Il  nuovo  testo  del  comma 2 dell'art. 20 della legge n. 59 del
  1997,  recato  dalla  legge  n. 340  del  2000,  che tanto prevede,
  risulta  dunque  in radicale contrasto con la Costituzione e lesivo
  delle prerogative costituzionali delle regioni.